L’angoscia dell’abbandono
L’angoscia dell’abbandono
L’abbandono è una condizione sentimentale che suscita disagio emotivo e può divenire un vero e proprio disturbo psichico che caratterizza le cosiddette “personalità dipendenti”.
Quando una relazione affettiva si interrompe, rischia di minare l’equilibrio psichico di chi subisce il distacco, che può provare sofferenza limitata, ma anche angoscia, reattività, disperazione e solitudine. Quanto più la separazione è inaspettata, tanto maggiore potrebbe risultare la difficoltà dell’abbandonato.
I soggetti con Disturbo dipendente di personalità manifestano, per questa ragione, un forte timore di essere abbandonati. Tale stato può portare allo sviluppo di emozioni, quali paura, terrore e ansia intensa, che inducono la persona ad avere dei comportamenti, anche compulsivi, volti ad evitare l’abbandono.
Ad esempio questi soggetti, di solito, sono particolarmente abili nel comprendere la volontà e i piaceri dell’altro, perché cercano di fare stare bene il proprio partner anticipandone i desideri. Pensano che questo comportamento li renderà indispensabili all’altra persona e li salvaguarderà da possibili allontanamenti. Le persone con questo disturbo possono, infatti, presentare convinzioni quali: “Se riesco ad essere indispensabile per lui allora mi terrà per sempre!” oppure “Se lo faccio stare bene non potrà fare a meno di me e non mi abbandonerà!”.
Quando si sentono soli, o quando non hanno una relazione stabile e significativa, invece, lo stato mentale prevalente è uno stato di vuoto, a volte descritto come una sensazione di essere “nulla in mezzo al nulla”, o come la sensazione di “essere privo di qualsiasi scopo”.
Questo stato mentale è spesso accompagnato da un umore depresso e da profonda tristezza.
Le personalità dipendenti, però, non sono degli “automi”: hanno dei desideri propri che, però, difficilmente riescono a riconoscere e, quindi, a perseguire. In alcuni casi, tuttavia, possono essere consapevoli di avere uno scopo diverso da quello di un’altra persona o una loro preferenza (es. sanno di preferire un film ad un altro o di voler uscire piuttosto che rimanere in casa a vedere la partita), ma presentano grosse difficoltà nel mettere in atto dei comportamenti finalizzati al raggiungimento dei loro desideri, se non sono sostenuti dall’approvazione del partner o delle figure di riferimento (es. genitori, colleghi di lavoro, amici con caratteristiche da leader).
Le relazioni sono, dunque, il faro che guida le scelte personali. Ciò nonostante, quando le aspettative dell’altro non sono compatibili con le proprie, essi avvertono un senso di obbligo a conformarsi ai desideri dell’altro, al quale si ribellano emotivamente con sensazioni di costrizione e di rabbia.
La rabbia e il disappunto verso l’altro, a volte, inducono una sensazione che la relazione vacilli. Quest’idea di solito è insostenibile, perché le persone con Disturbo dipendente di personalità la interpretano come un precursore dell’abbandono. Questo le porta a ristabilire velocemente la vicinanza, cercando di adeguarsi.
Differenti fattori contribuiscono al quadro del sofferente: l’età, durata e tipologia del legame, i toni della frattura, ma soprattutto la personalità.
Le dinamiche abbandoniche appaiono precocemente e derivano in parte da fattori biologici temperamentali innati. Tale predisposizione biologica non sarebbe però sufficiente per determinare lo sviluppo del disturbo.
Alcuni studi condotti sulle interazioni parentali tra madre/padre e bambino, sostengono che comportamenti di dipendenza in età adulta sono associati ad uno stile genitoriale che determina e mantiene le rappresentazioni di sé come vulnerabile e inefficace. I bambini sembrano costruire e interiorizzare tali rappresentazioni di sé sperimentando relazioni genitoriali ambivalenti ed intermittenti nella capacità di fornire aiuto e accadimento. Tale atteggiamento induce il bambino a mettere in atto strategie per assicurarsi la vicinanza della figura di riferimento, sviluppando dinamiche di dipendenza, e a temere l’abbandono in qualsiasi momento.
Altri studi condotti in ambito evolutivo sottolineano, invece, come le dinamiche dipendenti, pur sviluppandosi nelle relazioni genitoriali, devono trovare conferma e rinforzo nelle relazioni sociali successive. Sembra che questi bambini, nel mettere in atto modalità dipendenti per assicurarsi presenza e vicinanza, siano premiati e rinforzati in alcuni casi, mentre in altri sembrano essere allontanati proprio a causa di questa modalità nel richiedere vicinanza. Si suppone che proprio tale intermittenza mantenga lo stile di relazione dipendente, perché genera nel soggetto ulteriore insicurezza nei rapporti e paura di essere abbandonato
La persona si sente in difetto, inadeguata, ha paura di sbagliare, ogni evento critico mette in discussione tutto il mondo della persona che agisce in modo distruttivo. Tale sindrome produce malessere anche nei familiari e nei conviventi di queste personalità.
Il trattamento maggiormente efficace è una psicoterapia individuale, in genere a frequenza settimanale e se necessario, a questa possono essere affiancate terapie familiari, di coppia, di gruppo e farmacologiche.
L’ obbiettivo finale del trattamento è quello di migliorare la qualità di vita del paziente in accordo con le sue esigenze e tenendo conto delle sue difficoltà e priorità.
Il trattamento, secondo l’approccio metacognitivo-interpersonale, si basa sulla comprensione e gestione degli aspetti che caratterizzano tale disturbo. Presupposto indispensabile per raggiungere l’obiettivo finale è creare, fin dalle prime sedute, una buona alleanza terapeutica, evitando il coinvolgimento in dinamiche relazionali patologiche.
Infatti i soggetti dipendenti tendono ad accondiscendere agli scopi del terapeuta o alle sue indicazioni senza sentirle totalmente proprie, per la paura di contrastare la figura del terapeuta.
É dunque indispensabile accordarsi sugli scopi e gli obiettivi del lavoro terapeutico che devono essere:
– riconoscimento autonomo dei desideri;
– promuovere l’autonomia senza porre necessariamente condizioni di rottura delle relazioni significative;
– incremento del senso di efficacia personale;
– gestione degli stati problematici, soprattutto della sensazione di vuoto, della paura dell’abbandono e della sensazione di impotenza ed inadeguatezza nella gestione autonoma degli eventi di vita.
Durante il percorso psicoterapeutico, in seguito all’analisi del caso specifico, si valuterà anche l’utilizzo di una terapia farmacologia per la cura dei sintomi ansiosi e depressivi, che di solito sono il motivo per il quale le persone richiedono un supporto, esplicitando al paziente le motivazioni che eventualmente determinano l’indicazione della terapia farmacologia.